Il mare

di Giuseppe Gatto 

II mare è tutto lì nella sua parola, nella sua risacca di sillabe, come a dire nel suo rap­porto con la terra ove batte e da cui si riti­ra. Ed è incredibile come debba non nella sua vastità né alla sua eternità di orizzon­ti, né alla sua cangiante mutevolezza, la sua semantica, ma solo al suo ritmico e dolce pulsare alle soglie di una prova.Il mare dell'uomo, dell'uomo solo. non della storia collettiva, per quanto la storia sia testimonianza di popoli marini, di na­vigatori, di colonizzatori, di battaglie cruenti, di pirati, di scopritori, di avventure. Il mare è solo, per quante navi l'ab­biano solcato nei millenni, sol di prov­visorietà, di temporanei passaggi, di de­stini individuali; per questo è dell'uomo solo. di ogni essere che nutre di sguardi la sua distesa, la sua immensità per misura­re la sua smania di evasione, di latente av­ventura o libertà.Nella memoria della nostra cultura si atte­stò un giorno il mare ebraico, il mare che si apriva al passaggio di Mosè; il mare dei Fenici ci sembrò rosso dì porpora; poi il mare greco ebbe profili di colonne, e cariatidi e talamonì, in un azzurro speciale per trasparenza; il "Mare Nostrum" dei Latini ci inorgoglì ma non ci diede palpiti o mi­steri. perché nella storia collettiva l'uomo - il suo amore, la sua morte - e vinto dal nu­mero anonimo. Ci sciolse per dolcezza, in­vece, il mare di Saffo, delle sue vesti dai vento, del suo pianto, dei suoi amori e quel­lo che s'ebbe il disperalo dolore e poi fumo di una umanissima Didone, il mare pu­lito di virginea regalità di Nausicaa. Il ma­re solo, dell’ uomo solo, del suo destino che ad esso si lega, il mare delle tragedie uma­ne o delle speranze.Il mare di Achab, gonfio di odio e di ven­detta, il mare del leviatano, il mare della follia dolorosa, quello dell'ossessione, del battito ritmico di una gamba di legno sul cassero e poi il mare tempestoso di Padron' Ntoni. la sua notturna ferocia osti­nata contro il bisogno e il coraggio degli uomini.Il mare è tutto lì, nella sua parola, nella sua risacca di sillabe, nel suo rapporto con la terra ove batte e si ritira senza soste, da mil­lenni e millenni.E' un mare antico che inonda di salso la­mento. di pianto che brucia, la terra degli uomini. li mare dei paesi rosei e azzurri della costa, delle piccole chiese bianche di scialbature, dei vicoli notturni, degli angi­porti, dei moli coi fanali, degli azzurri ma­rinai , dei pescatori che parlano in silenzio, sottovoce, della folla degli uomini soli, una folla di occhi che al mare chiedono in nome di un riscatto un effimero sogno di avventure, di amarre spezzate, di gomene al vento.Un mare sfinito di umanità che chiede al­la terra dove batte il suo stesso senso, la sua stessa esistenza. Casimiro Forte ha dipin­to il mare. un mare "d'olio", anche quan­do è bufera, burrasca, marina sconvolta; un amare "acrilico", chimico anche quando l'acqua appare incontaminata e il mondo in pace. E' nel filtro della memoria, un ma­re che c'era e che non c'è più almeno così come c'era. E’ la denuncia di un mare non più sconvolgente, non più diffìcile da comprendere e da amare - non più solo e immenso davanti ai lìmiti dell'uomo, ma semplicemente e angosciosamente di un mare vinto, di un mare "collettivo", di un mare usato e abusato, asservito alle mode, ai facili consumi, alla superficialità del nu­mero che non ha sensi di colpa.La denuncia di un uomo come Forte è fat­ta di occhi, di consuetudine a vedere e ri­vedere e a rifare nel segno ciò che filtra at­traverso il barlume di una luce interiore, diventa fatica del le mani, emersione di un mondo poetico, proprio perché vero, oltre il bianco sipario della tela.

Dipingere è il suo mestiere, ma il raccon­to è dolore, amore, vissuto quotidiano, confronto tra uomini veri, storia di uomo comune.

II mare di Forte è un mare che sta per per­dersi, lentamente, inesorabilmente, ma che in bilico tra morte e vita, ha ancora il lieve lume di una prognosi di salvezza, A patto che tornì coscienza individuale dell’uomo, soliloquio antico, sogno sconfi­nato e libertà. E' proprio in ciò la sua uni­versalità - la denuncia- e quella di Forte lo è - è ancora un viatico di salvezza, altri­menti sarebbe vana, improbabile. Il mare di Forte - badate bene- è un mare occluso, che impedisce la grazia di un accesso, ma gli basta un mazzo di fiori, una rossa stel­la marina, un giallo fiore di ginestre, la fra­granza muschiosa dei ricci neri a ravviva­re la sua identità , quella striscia azzurra, lontana, apparentemente perduta. Nel viaggio di Forte, dietro il panneggio che invischia delle reti, è ancora possibile sciogliere la prognosi di una morte an­nunciata.Il mare torna amore, enigma, distanza e orizzonte dell'uomo.